Jean Marc Mantel
Paura di cosa?
Paura di chi? Chi ha paura?
3ème Millénaire n. 86
J.M. La paura è una sensazione. Il corpo manifesta
un’attitudine mentale. La sensazione di paura è creata dal mentale.
Il mentale ha il potere
di creare forme che si confondono con la realtà. Il leone del sogno appare vero
come quello dello zoo.
Esso ha il potere di creare un futuro che dà l’impressione
d’essere la realtà. Ponendo nella memoria le informazioni di cui ha bisogno, il
mentale elabora un film di cui “io” è il personaggio principale.
Così la paura è legata all’anticipazione. Immaginate la
vostra mente priva di ogni anticipazione. C’è ancora
una paura da sperimentare?
Se
il leone viene a mangiarvi, vedrete in quel momento ciò che c’è da fare o da
non fare. Non potete saperlo prima.
Quando
la mente si spegne, nello spazio vacante diurno o il sonno profondo notturno,
la paura è assente. Rinasce quando riprendono possesso della scena i turbinii
mentali. Non è in sé il mentale che è la causa della paura, ma l’abitudine di
confonderlo con la realtà. Voi non reagite allo stesso modo se una cattiva
notizia è annunciata da una persona fidata o da un
bugiardo incallito. Nel primo caso, sarete preoccupati, nel
secondo, resterete tranquilli. E’ lo stesso scenario evocato nelle due
situazioni.
L’ignoto è la più grande origine del terrore. Per questo il mentale si ostina
a voler conoscere ciò che non è
conosciuto, a sapere l’istante dopo.
Per chi dunque
l’ignoto è sorgente di paura? Certamente non per la
coscienza- soggetto, pienezza onnipresente, libera da ogni oggetto. Ma
per la persona che penso di essere, chiamata me. In effetti
è “me” che è terrorizzato, e non la visione. Me
designa il corpo, il mentale e la personalità, tutto ciò che la memoria ha
ammassato riguardante il personaggio che credo di essere. Questo, essendo nato,
deve morire. Ma quell’istante di scomparsa è l’angoscia massima, perché implica
la dissoluzione di tutto ciò a cui sono attaccato.
Se l’io che è attaccato e dissolto
in quel grande annientamento, chi resterà ancora per avere paura?
Quando si radica la comprensione che il personaggio me, il
passato e i futuro non sono la realtà in sé,
sopraggiunge una distanza.
La coscienza allora può avere un risveglio a se stessa, luce
non distratta dalle molteplici forme che proietta.
La fine della paura significa perciò la fine del me che ha paura, dissoluzione che avviene quando l’attenzione si
applica all’istante stesso completamente. In questo istante
non c’è paura, non c’è me. I due fratelli gemelli, nati insieme, scompaiono
insieme.
La paura è una proiezione, che scompare quando il proiettore
si spegne. Finchè è acceso, il corpo è in preda al sogno che si proietta
davanti a lui Quando il proiettore si spegne, il corpo si distende e si riposa
nella luce dell’uno.
3m. Ho un amico che
ha appena saputo che ha un cancro al pancreas e non ha che sei mesi di vita. La
paura è entrata in lui brutalmente. E’ lì, impossibile dimenticarla. Ciò che
dite gli sembra concettuale. Anche se le vostre parole hanno
una risonanza in lui, tuttavia non esce dalla realtà in cui vive, che gli
impedisce di dormire. Oggi il tempo incalza, le parole
non servono. La vita improvvisamente, man mano che viene meno, assume un
senso. Il senso vitale che la comprensione sorge in lui, può venire da sola? E’
possibile che si liberi dalla paura? Come?
J.M. Non c’è nessun rimedio intellettuale alla
paura, perché è lo stesso intelletto a crearla e a mantenerla. Il me è obbligato ad abdicare alla sua pretesa del potere, di
fronte alla paura che lo sommerge.
L’accettazione è la
chiave della liberazione, non un’accettazione superficiale, ma profonda, in cui
la situazione è accolta come è, includendo anche la
reazione di paura.
Quando l’attenzione si rivolge alla sensazione corporea, il
mentale non è più nutrito e si calma. Più si consolida
l’ascolto della contrazione corporea riflessa, per esempio nella regione del
plesso solare, più la tensione trova uno spazio naturale di riassorbimento.
La domanda del chi ha paura è sicuramente la via suprema, ma quella domanda se non è stata
maturata da lungo tempo, sembra astratta e non appropriata alla situazione.
Non è la situazione
stessa, inclusa la morte e le sue conseguenze, che è
spaventosa, ma il rifiuto della situazione. Mettetevi all’ascolto del rifiuto.
Vedete, nella sua espressione presente, quella antica
tendenza che conoscete così bene.
L’accettazione
conduce alla liberazione, perché essa scioglie tutte le resistenze del me al
risveglio al presente. In questo stesso momento non esiste altro che la pace
del silenzio della coscienza. Abbandonate ogni proiezione. L’istante seguente
non esiste. Senza futuro siete liberi, siete la
beatitudine stessa.
3m. Ma c’è un
paradosso: il fatto di sentire le tensioni corporee sembra avere un effetto
opposto a un riassorbimento della tensione. Infatti questa assomma tutta la paura, sembra invadere tutto
il campo della coscienza…
J.M. L’ascolto è un’arte. Se
una tensione si rafforza quando l’attenzione si rivolge a lei, significa che è
presente nella mente un’intenzione, che mantiene la tensione, o la rinforza.
L’intenzione è
l’espressione del me che cerca di sradicare ciò che lo opprime.
L’ascolto nella sua
purezza originale è senza intenzione. E’ lo spazio di accoglienza
delle percezioni, che permette alle sensazioni di riassorbirsi, come un grano
di sale nel mare.
E’ tutta la
differenza tra la meditazione e la concentrazione. Nella prima la mente è assente, nella seconda la mente è occupata, interamente
assorbita dallo scopo prefissato.
Lo stato di concentrazione favorisce un rilassamento
propizio all’abbandono della volontà.
E’ in quell’assenza del volere che si espande l’ascolto, che
non si riferisce a un me che agisce, ma alla presenza
stessa.
3m. Oh si, l’ascolto
è un’arte! Mettersi all’ascolto di un rifiuto, come quello di accettare la
paura, spesso è intenzionale. Qui si pone la domanda del legame tra chi si mette all’ascolto del rifiuto e chi è nel rifiuto, la non accettazione
della paura. Infatti chi si mette ad ascoltare ha si
l’intenzione di ascoltare, ma ha anche l’intenzione di liberarsi dalla paura
grazie a quell’ascolto! Egli si dice: poiché l’ascolto dissolve la paura,
allora ascoltiamo. A che livello si pone l’ascolto reale?
J. M. La presenza
che constata l’assenza di ascolto è essa stessa
ascolto. Per errore l’ascolto viene attribuito al
corpo, mentre il corpo è lui stesso ascoltato. Il non ascolto è constatato. Non
ascolto significa interpretazione, conclusione. Il non
ascolto è ascoltato. Rinvia perciò ad un altro piano. Il pensiero “sono colui che ascolta” è un pensiero. Anch’esso
è ascoltato, quindi non è ascolto Essere ascolto riconduce al puro ascolto, libero da ogni
attributo. Io è ascolto, io è coscienza, la coscienza
è ascolto.
3m. Nel nostro stato
interiore usuale, l ’altro piano è velato dal primo
piano, che è occupato dalla nostra storia. In un momento di calma, l’altro
piano può svelarsi per lo sciogliersi del primo piano, ma questo non è che momentaneo. La vita quotidiana, le pressioni
diverse portate dalla vita professionale o personale fanno risorgere come un
diavolo dalla sua scatola l’io identificato alla meccanicità dei pensieri,
delle emozioni o del corpo, insomma del suo mondo. C’è uno stratagemma,
qualcosa che possa sostenere la presenza di
quell’altro piano, libera da ogni proiezione?
J.M. L’attenzione non può posarsi su due cose alla
volta. Quando si rivolge alle onde, esistono solo le
onde, quando si rivolge alla profondità del mare, esiste solo la profondità del
mare. E’ la stessa cosa con gli oggetti
d’attenzione e l’attenzione stessa. Quando
l’attenzione si rivolge a se stessa, solo l’attenzione esiste. Se c’è sforzo di
concentrazione, questo è oggettivato nell’attenzione e lo sforzo si riassorbe nella attenzione stessa.
Essere attento non è essere attenzione. E’ mantenuta una divisione tra
il soggetto attento e l’oggetto d’attenzione. Questa divisione è tensione. La
tensione oggettivata si dissolve nel rilassamento naturale dell’essere.
3m. Però una persona che sente la paura, una sofferenza, può utilizzare la sensazione
corporea come supporto. Può per esempio portare l’attenzione sulla
respirazione. Questo implica uno sforzo, una tensione, ma nello stesso tempo
rompe l’identificazione esclusiva con la paura o la sofferenza. Fare lo sforzo
di respirare con l’addome in certe circostanze difficili è una via classica,
utilizzata per esempio dallo zen. I praticanti testimoniano il benessere che
quello gli procura, in termini di rilassamento corporeo e di diminuzione della
tensione. Cosa pensate di questo modo di affrontare la
paura?
J.M. La paura è creata dalla mente, non esiste nel
sonno senza sogni o nei periodi in cui la mente è calma e silenziosa.
L’attenzione non può simultaneamente posarsi su due oggetti.
Quando si orienta sul respiro, lascia il mentale.
L’ascolto del respiro
e del corpo in generale rilassa l’attività mentale, perché l’attenzione non è
diretta su di lei. E’ l’attenzione che nutre di energia
l’oggetto di attenzione.
Il respiro, quando è
ascoltato, rallenta e prende un’ampiezza sconosciuta quando l’attenzione è assorbita dai movimenti del pensiero.
La regione addominale
è importante, soprattutto per la presenza del plesso solare, che presiede ai movimenti
dell’energia emozionale, e del diaframma, grande
muscolo che separa l’addome dal torace.
Quando il respiro addominale è ascoltato, i movimenti
dell’addome si amplificano per il rilassamento del diaframma, che allora può adempiere alla sua funzione. I suoi movimenti regolari
dall’alto in basso e dal basso in alto creano una autoterapia
insostituibile con la stimolazione delle correnti di energia e del sangue della
regione addominale e perineale.
L’ascolto del respiro e soprattutto del respiro addominale,
è prezioso per abolire la reazione di paura, e anche per prevenirla. Un respiro
ampio e disteso è la migliore garanzia per una funzionalità
ottimale nella vita quotidiana.
Vivere al ritmo del
respiro è molto diverso dal vivere al ritmo dei pensieri.
E
sicuramente l’ascolto del respiro, come quello di tutti gli oggetti, è una
scuola di vita al presente, perché non è possibile ascoltare il respiro che
c’era ieri, né quello di domani.
3m. Vorrei ricordare
anche la paura del vuoto. Infatti molte persone
provano una specie di disperazione per una sensazione di vuoto. L’ascolto interiore è reso impossibile dalla
paura di ritrovarsi di fronte a quella sensazione di
vuoto, dal non essere niente. Da dove viene? Cosa
significa? Si può trasformare?
J.M.
Il vuoto di cui si parla è il vuoto del
me. Nei momenti di sospensione mentale il me è assente, perché il me è solo un
pensiero.
L’assenza del me è percepita dall’altro
piano, l’accento è messo sull’assenza di un oggetto, invece che sulla
presenza del soggetto. Il momento dopo, il me risorge
e genera una reazione di panico di fronte alla propria scomparsa. E’ come
quando si ha l’abitudine di un quadro sulla parete e improvvisamente il quadro
non c’è. La reazione è quella di una
mancanza. Se la coscienza è unita al muro dell’altro
piano, non succede nulla.
Per capire quella paura del vuoto,
dell’assenza, bisogna farle fronte e accoglierla. Non c’è altra soluzione, perché tutti i tentativi che
vengono dalla paura non fanno che rafforzare la sensazione di mancanza Deve
anche essere ascoltata la sensazione di vuoto corporeo. Le sensazioni di
mancanza corporea sono “crampi egotici”.
Anche la mancanza legata a sostanze e la reazione fisiologica è una dimensione egotica di un riflesso di scelta che non
trova niente da scegliere.
Familiarizzandoci con
l’assenza di pensieri, il silenzio interiore e la luce che ne sorge, la paura
del vuoto lascia lentamente la sua presa. La gioia del
pieno può allora regnare come solo maestro .
3m. Si può anche
ricordare una paura che si connette a quella del vuoto, è quella della morte.. Si può manifestare con la paura di andare a dormire,
vissuta come una piccola morte difficile da sopportare. Cosa
consigliate a quelle persone che vivono quelle paure?
J.M. Ci sono diverse piccole morti con le quali è
possibile familiarizzarsi.
L’espirazione ne è un buon esempio.
Quando è ascoltata fino al suo termine, diventa iniziatica, riassorbendosi nel
silenzio e portando la mente a riunificarsi al silenzio della coscienza, che
splende nell’intervallo tra l’espirazione e l’inspirazione che segue.
L’entrare nel sonno è
effettivamente un’altra di quelle piccole morti. Essa deve essere preparata,
non da un accumulo, ma da un abbandono mentale e fisico.
Un corpo disponibile,
non sovraccaricato da un pasto, una mente raccolta, non dispersa nella maya, un respiro ascoltato, lento e
maestoso sono premesse all’accoglienza di un sonno
salutare.
E’ anche possibile
fare conoscenza con lo spazio che separa i pensieri, con l’attenzione
portata ai pensieri. Quando quello spazio è abitato,
la paura del silenzio che non è che la
paura della scomparsa del concetto me, è trasformata in gioia dell’assenza:
gioia silenziosa, senza pensieri e senza altra espressività che se stessa.
E’ così che il
desiderio di liberarsi dalla paura porta al desiderio di liberarsi dall’ego,
che porta al desiderio di realtà. Io realizza allora che è la realtà stessa. Nel momento in cui
scompare la divisione, regna l’unità. L’unità è pace, gioia e luce.